(Isola Sacra, Fiumicino – foto mia)
“L’estate addosso” per me è *la* canzone dell’estate, almeno quanto “L’estate sta finendo”, e forse un po’ lo è per lo stesso motivo: la bellezza e la malinconia.
Sono cinque anni, da quando è scoppiato il colpo di fulmine (durante un’estate bellissima, l’unica degli ultimi anni in cui “ho fatto il mare”), che letteralmente passo la stagione a canticchiarla.
Mi mancano tanto le estati al mare; mi mancano le giornate infinite, i primi pomeriggi all’ombra, il cocomero per pranzo, i libri con la sabbia. Mi mancano i teli mare, le macchine parcheggiate strategicamente all’ombra. Mi mancano i gelati al tramonto, la doccia ai piedi per non portare sabbia in casa. Mi manca il doposole alla menta, il porca troia mi bruciano le spalle. Mi manca il venticello, il pareo, l’acqua trasparente, il sale. L’insalata di pasta, l’insalata di pomodori, la parmigiana fredda. La pizza negli ecomostri vista mare aperti solo fino a settembre. La fantasia dei geometri di provincia delle villette costruite con vezzo artistico e dopo dieci anni già in declino. Le mattonelline, i muretti bianchi effetto grattugia, gli oleandri, gli hibiscus. Mi manca il piccolo mondo autosufficiente dei minimarket col ricarico del mille percento, i venditori di gonfiabili già gonfiati, Gente in edicola col materassino moda in omaggio. Mi mancano i portici piastrellati, il dresscode asciugamano in vita e ciavatte, il motorino in costume.
Mi manca l’orizzonte sgombro eccetto che per l’interrogativo su dove andiamo a fare il bagno oggi. Mi manca non pensare alle bollette, alle rate del condominio, al tagliando della macchina, alle riunioni, alle visite mediche, agli appuntamenti. A quella cosa di lavoro del 2017 che avrei potuto fare diversamente.
Mi manca non essere reperibile ma essere presente, as opposed to essere reperibile sempre ma mai, mai presente.
Mi manca l’estate; mi manca la stagione della vita che è l’estate. C’era una volta l’estate.