Men Against Fire

Nel quinto episodio dell’ultima stagione di Black Mirror, un soldato a un certo punto non riesce più a vedere le cose tramite il sistema elettronico di visione che gli è stato impiantato, ma è costretto a guardarle con i suoi occhi. Ugualmente è all’improvviso costretto a sentire gli odori e percepire la realtà al di fuori del filtro elettronico impostogli dalle regole di ingaggio militari cui si è volentieri sottoposto quando si è arruolato. Il modo in cui il soldato guarda la realtà senza sistema di decodifica preimpostato, su cui ha basato il suo addestramento e le sue certezze, gli provoca shock, perché si rende conto che i principi per cui lotta e rischia la vita sono delle bugie senza alcun fondamento nella realtà. D’un tratto, caduto il sistema di pensiero, la giustificazione e l’intero castello di carte, capisce che non fa niente altro che uccidere persone esattamente come lui.

Ma dietro il disgusto, la raggiunta consapevolezza delle menzogne, la necessità morale di non ripetere più gli abomini, sta ben nascosto ma ben presente anche il rimpianto. Come si fa a vivere dentro una pantomima, una volta che hai visto gli attori senza maschera? Questa efficace rappresentazione non ha soluzione al di fuori della narrazione di fiction e provoca in genere una rottura da cui non si torna più indietro. Nel mondo distopico di Black Mirror, invece, il rimedio esiste: cancellare la memoria di quello che è successo, essere riammessi nel mondo rassicurante e passare il resto della vita in ammirazione di uno scenario in rovina, convinti dai filtri bellezza che sia lo spettacolo più meraviglioso di sempre.

Black Mirror ancora una volta porta la distopia nel documentario, non tanto nell’interpretazione metaforica del sistema di pensiero degli obblighi militari, quanto nell’esposizione del disagio provato davanti alla percezione della realtà senza filtri.

Che i militari abbiano bisogno di credere nello scopo della loro missione per uccidere lo sapevamo; che la percezione priva di filtri bellezza sia disfunzionale alla vita in società, qualcosa da non augurarsi e da cui fuggire, è un pensiero da scacciare e tenere lontano, perché è un attimo e torniamo anche noi a sentire l’odore delle cose.

Per esempio, stamattina, di fronte alla solita teoria di video sgranati di gente ubriaca nelle Stories Instagram, m’è venuta un’angoscia esistenziale infinita. Cazzo c’avete da ridere? Ma non era meglio quando non avevamo gli strumenti per constatare quanto non interessanti e tutte identiche fossero le nostre esistenze? Per oggi non credo sia possibile tornare indietro. Domattina speriamo si resetti tutto.

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