quando ha chiuso Il Bagatto

Il Bagatto era il pub della gioventù maledetta, le poche volte che sono riuscita ad andarci (stretta tra coprifuoco anacronistici e fughe notturne improbabili) mi si sono impresse a fuoco nella memoria le immagini di questi ragazzi grandi coi cappotti di pelle, i maglioni sdruciti, gli anfibi. Il fumo che faceva la nebbia, fumo di sigarette eccetera, e questi ragazzi che erano tutti bellissimi, che sembravano tutti usciti da un video dei Nirvana. Mi bevevo una Dudemon in un sorso e mezzo, e mezz’ora dopo ero già così concia che sicuramente quei ragazzi non erano poi così belli, ma insomma, quello che conta è il ricordo, la gioia di quelle mezz’ore in cui sono riuscita ad esserci, il modo in cui mi sentivo: padrona del mondo, fighissima, al centro dell’universo, anche se era un pub piccolissimo, in una piazza piccolissima, in una città alla periferia dell’impero, in cui il massimo che poteva succedere era NIENTE, ASSOLUTAMENTE UN CAZZO. A un certo punto, credo fossi all’ultimo o penultimo anno di liceo, il Bagatto ha chiuso: la fine di un’epoca, la fine di un sogno. Ha riaperto, tempo dopo: sotto forma di pub pettinato. Ma anche se fosse rimasto sporco, non sarebbe mai stato più lo stesso, era ovvio.

Poi c’è stato il Blackout. Ci andavo tutti i giovedì, con gli ingressi gratis dei flyer raccattati da Disfunzioni Musicali e le lattine di birra infilate in tutte le tasche interne, esterne e tutte le maniche possibili. Ero diventata un’habitué del quartiere e trovavo subito parcheggio nella piazza del mercato sotto via Saturnia, coi buttafuori ci salutavamo come amici. Al Blackout c’era una specie di comitiva (anche se non ci conoscevamo), formata dai classici tipi da serata rock, cui avevo affibbiato soprannomi come alla gente dei paesi: il cicciottone che fa headbanging (Arancina), quello magro allampanato calvo che si gasa per i CCCP (Sify, da sifilide) il darkettone accompagnato dalla figa spaziale in mutande che balla solo le canzoni dei Cure (Marylin Manson), la bonazza col body strappato che balla da sola (Anouk). Non mi ricordo quando ha chiuso, lasciando spazio a una pizzeria (premonizione dell’importanza che i carboidrati avrebbero preso nella mia vita, al posto del ballo), non so più se ero ancora all’università o già a Milano. E poi ha riaperto. In un altro posto, sulla Casilina, ero già di nuovo a Roma. Sono andata alla serata inaugurale, ma ovviamente, e non solo per ragioni di location, non poteva più essere la stessa cosa.

La stessa importanza epocale del Bagatto e del Blackout per me l’ha avuta Friendfeed. Ci ho conosciuto la quasi totalità delle persone che frequento a Roma, oltre a un sacco di altra gente che vive altrove, con cui parlo quotidianamente (con modi di dire autoctoni che da tempo uso anche offline) e che spero sinceramente di incontrare o rivedere presto. Se non ci fosse stato Friendfeed non avrei corso quasi ottocento chilometri da maggio scorso a oggi (non vi ringrazierò mai abbastanza). Se non ci fosse stato Friendfeed non avrei mai imparato a truccarmi da signorina (non sto scherzando). Se non ci fosse stato Friendfeed non avrei mai potuto rendermi conto che senza discussioni non c’è neanche dialogo (imparare dai flame, guarda già come la malinconia migliora i ricordi). Se non ci fosse stato Friendfeed non avrei mai potuto assistere ai meravigliosi incidenti stradali, allo svisceramento di tutte le tematiche importanti dell’universo, alle battaglie ideologiche del pesto contro il ragù, alla genesi, evoluzione e scomparsa di personaggi mitici come Monique e Luisa8. Vabbè, è impossibile spiegare cosa succede quando ti chiude il baretto del cuore, perché non sta chiudendo solo il baretto ma sta finendo un’epoca, e le epoche non tornano. Quando ho iniziato a leggere La Banda dei Brocchi mi hanno subito detto che il seguito del libro, Il Circolo Chiuso, non è bello uguale. È vero, ma solo nel modo in cui essere grandi, con le rogne e le bollette, non è bello come essere ragazzini, avere tutta la vita davanti e pensare ancora che tutti i propri sogni siano realizzabili. Però possiamo sempre diventare vecchi babbioni rincoglioniti insieme, e questa, per quanto mi riguarda, è la più bella prospettiva.

See ya on the other side, brotha.

ps: se ci fosse stato Friendfeed ma non ci fosse stato Achille, non so se mi sarei iscritta. È lui che, alla fine del 2008, me ne parlò. Achille è anche il blog nel cui blogroll c’era quello che poi è diventato mio marito. Achille, forse ti devo qualche migliaio di birre.

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