“Fuckin’ Sookie.” “Fuckin’ Sookie.” “Fuckin’ Sookie? FUCKIN’ SOOKIE?” “Yeah, fuckin’ Sookie.”

poi dici perché Ball è un genio.

Share Button

e ora cosa leggo? non lo so. ci penserò domani.

 

non credo ci sia bisogno di un titolo.

ringrazio mio padre, che ha comprato questo libro nel 1943 (conoscendolo, sicuramente l’ha fatto perché era un bestseller e poi non l’ha manco aperto, ma questo non ha importanza. il magnifico oggetto fotografato qui sopra ha attraversato quasi indenne 68 anni, per poi arrivare a poggiarsi sulla mia panza nelle notti dell’ultimo quasi-anno – lo so, ci ho messo un botto, ma un po’ è che ho letto quattro pagine al giorno, un po’ è che lo facevo apposta. )

 

 

Share Button

il titolo più mecojoni dell’anno

il Metodo Castellari per la scelta del titolo del film è cosa ormai conosciuta anche dalle pietre. si tratta di scegliere un titolo in modo che faccia esclamare a chi lo sente “mecojoni!” e non “e ‘sti cazzi?”, invogliando lo spettatore ad andare a vedere il film ed evitando che se ne disinteressi cinque nanosecondi dopo averlo sentito nominare. ma il Metodo Castellari è anche un ottimo metodo utilizzabile dallo spettatore per scegliere i film. io lo applico da quando l’ho conosciuto, e non ho mai avuto sòle. poi magari mi direte che “le biciclette di Pechino” è un capolavoro, ma credo di poter vivere senza. comunque, per chi volesse un ripassino, eccolo.

 

alla luce di questo Metodo, assegnamo il Gran Prix Mecojoni 2011 per titolo, trama e attori al film presentato nel seguente trailer.

Share Button

100 minacce performantissime, io me le sono segnate tutte

manca giusto “te do ‘na pizza così forte che quanno hai smesso de gira’ i tuoi vestiti so’ passati de moda” ma non so se è uscita al cinema.

fonte: vulture

nda: naturalmente la mia preferita è “you fucked with the wrong marine!”

 

 

 

Share Button

alla signora

volevo fare gli auguri alla signora che quando il laccetto del canovaccio si rompe lo ripara ricucendolo come se fosse la cosa più importante dell’universo. alla signora che quando a ventidue anni me ne sono andata a Milano mi ha detto “non portarti questo copriletto, c’è una macchia (era una macchia microscopica) portati quell’altro”. alla signora che mi ha regalato il mio primo bellissimo filo di perle, io che ho passato tutta la post-adolescenza pensando che non esistessero altre calzature a parte gli anfibi, e sbeffeggiando il filo di perle con frasi come “non mi avrete mai”. alla signora che mi risponde al telefono anche se non la chiamo da giorni, quando ho bisogno di sapere come si fa la pasta con le sarde. alla signora che mi chiama quasi una volta al giorno per sapere come sto, e io non riesco a capire che bisogno ci sia di sapere come sto oggi visto che già sa come stavo ieri, e le rispondo male, e non mi manda mai a quel paese, mentre me lo meriterei abbestia. alla signora che due giorni prima che vada a trovarla mi chiama per sapere cosa voglio mangiare. alla signora che, dopo che gliel’ho detto, corre a prepararmi le polpette col sugo. alla signora che da piccola mi diceva “fai come vuoi” e io andavo in crisi. alla signora che, da più grande, mi diceva “so che andrai benissimo” e io andavo ancora più in crisi. alla signora che, a me che ho 31 anni e che dovrei essere una donna fatta e finita, chiede “ti serve qualcosa?” alla signora i cui abbracci in genere evito, perché non so perché, ma sono così schiva. alla signora che ho passato la vita a criticare. alla signora che alla mia età già aveva fatto carriera e manteneva metà della sua famiglia d’origine. alla signora con le borse più belle del mondo. alla signora col mio stesso numero di scarpe e quei bellissimi stivali anni ’70 di suede che ancora sono bellissimi. alla signora che trent’anni fa sgambettava per Roma col tacco 11, mentre la figlia all’età sua si porta le ballerine in borsa e dopo un quarto d’ora già soffre. alla signora che viene a Roma per vedersi il centro serena. alla signora che mi ha insegnato i gioielli, le pietre, guardando il centro serena. alla signora che sa i mobili in francese. alla signora che legge Bravacasa, Casaviva e Casafacile. alla signora che non leggerà mai questo post, perché la figlia è fatta com’è fatta, e non glielo farà leggere mai.

auguri, mamma.

Share Button

il pesce mezzo marcio

ogni anno, quando vedo i pesci d’aprile delle grandi multinazionali web, non riesco a fare a meno di pensare agli schiavi che hanno fatto le notti a progettarli. “mi raccomando ragazzi, divertitevi, deve essere una cosa divertente! naturalmente non abbiamo budget, eh, ma è un divertimento per voi, no?” e tutti giù a ridere.

Share Button

dieci cose per cui vale la pena vivere

1: Irrompere in un bagno a Cagliari.

2-10: Vedi n. 1.

Share Button

la signora maria meets verysimple.it

colgo l’occasione per parlare di una cosa che per me non è affatto very simple: scegliere. questo è il motivo principale, a parte il risparmio economico, per cui in genere aspetto i saldi. i negozi pieni di nuove collezioni mi danno la vertigine, mi viene la sindrome di Stendhal, mi aggiro in trance in mezzo agli scaffali incapace di decidermi per un vestito o per un altro, come se da quella scelta dipendesse la mia esistenza, perché c’è sempre un dettaglio, in qualsiasi abito, che me lo fa sembrare fondamentale, imperdibile. devo averlo! no, aspetta, devo avere anche quello! e quell’altro! l’incubo delle commesse.

perciò, quando mi è stato chiesto di scegliere qualcosa da provare dal catalogo primavera-estate Verysimple, ho dovuto mettere su una specie di campionato con le qualificazioni, i quarti, le semifinali, eccetera.

una cosa ce l’avevo chiara: magliette e vestiti. e dopo un’attenta analisi di decorazioni, perline, disegni, stampati, maniche, lunghezze, colori (tutto presente in quantità infinita), i tre finalisti del mio personale xfactor sono stati questa maglietta (oddio, la chanel rossa! con la tracolla VERA! ma non è adorabile?) questa canottiera (ALTRE BORSE! svengo.) e questo vestito/camicione (i pois! la cintura! altre perline!)

da brava cronica indecisa, spulciando di nuovo il catalogo mi sono resa conto che avrei voluto anche la giacchetta di felpa (COME HO FATTO A FARMELA SFUGGIRE?) ma è la mia condanna, le scelte onnicomprensive non esistono e prima o poi lo capirò, forse anche al di fuori dell’abbigliamento. speriamo.

le scelte che mi sono venute facili, invece, sono state quelle in merito alle sorti dei protagonisti della campagna su youtube: è una storia interattiva in cui si può decidere cosa far fare ai due innamorati. li ho fatti litigare in tutti i modi possibili e immaginabili, esattamente come ha fatto la fujiko, ma poi ho ceduto al mio cuore di marshmallow e l’amore ha trionfato. una campagna divertente, girata con attori non professionisti, selezionati online, dall’effetto molto spontaneo e quasi user generated.

ma torniamo alle scelte difficili: i capi. sono arrivati il giorno di san valentino, e nello scartarli sono rimasta piacevolmente sorpresa: nonostante l’apparenza molto “giovane” (oh, sono anziana io, eh.) li ho trovati davvero ben fatti, ben rifiniti, confezionati con cotone niente male. e massimo rispetto alle taglie, quelle vere. non ne posso più di S-M-L. porto la 44, voglio la 44.

l’unico appunto che mi sento di fare riguarda i prezzi. sicuramente giustificati dalla fattura dei capi e dall’attenzione al dettaglio (era un po’ che non vedevo decorazioni così rifinite) ma forse un po’ alti per un pubblico giovane, che non sempre ha dei budget adatti.

comunque la tshirt con la chanel rossa, già immortalata sul mio twitpic, è stata dichiarata vincitrice assoluta del mio xfactor diventando il primo indumento ufficiale signoramaria spring summer 2011. complimentoni!

e nel frattempo ho capito che mi viene più facile – molto più facile – scegliere tra una litigata e un bacio che tra una maglietta e l’altra. lesson learned 😉 e grazie, Verysimple.

Share Button

Sanremo, voglio dirti quello che sento

Quest’anno non hanno usato lo slogan “perché Sanremo è Sanremo” per un solo motivo, che non ha nulla a che fare con l’unità d’Italia. Quest’anno Sanremo non era Sanremo. Non c’erano i fiori sul palco, e le uniche apparizioni floreali sono stati i purciarissimi mazzi regalati qua e là. Non c’erano dei presentatori, cioè almeno se uno per “presentatore” intende una figura Professionale che ha come funzione quella di presentare uno spettacolo. C’erano dei lettori di gobbi, quello sì, impacciati e scoordinati, che uscivano e rientravano in scena secondo leggi che a noi rimangono ancora oscure. Non c’erano le vallette. C’erano due tizie, una argentina che ha ballato il tango (IDEA CREATIVA!) e una fidanzata con un americano che è stata usata come interprete (IDEA PESSIMA!) con gli ospiti stranieri. Non c’erano i comici. C’erano due che hanno cantato una parodia di una canzone che non faceva ridere, e tutto il mondo diceva che era una cosa divertentissima, e qua stiamo ancora cercando di capire perché. Gli autori invece c’erano, ma visto il contributo sarebbe stato molto meglio che non ci fossero stati, forse se la gente sul palco fosse andata a braccio avremmo evitato l’effetto gobbo in lontananza e magari anche la noia. Ah, e poi c’erano anche le tre i, Interviste Internazionali Imbarazzanti, l’unico vero archetipo sanremese che è stato rispettato.

Le canzoni di Sanremo invece non c’erano, e infatti ha vinto una canzone che con Sanremo non c’entra niente, se non con un certo effetto polvere. Una canzone che, ci tengo a dirlo chiaramente, oltre a sembrarmi la negazione di Sanremo e una furbata per approfittare dei canali promozionali, mi fa schifo.

Ah, però poi c’è stato il Comico Famoso che quando va in TV è subito evento, e ha parlato per un’ora, e pensa gli autori quanto erano felici “aoh, ‘amo svortato ‘n’ora de progggramma, regà, evvai!”

Io non so cosa pensano alla Rai di cosa ci si aspetti da Sanremo, e tutto sommato non so cosa mi aspetto io. Non è la questione della sagra della porchetta. Perché di Sanremi a Porchetta ce ne sono stati tanti, ma sono riusciti ad essere belli lo stesso. Quello che mi ha deluso è stata la soddisfazione, espressa in base agli ascolti, per uno spettacolo Di Merda. Brutto, deludente, amorfo, stanco. Uno spettacolo che ha messo in scena l’incompetenza, il pressappochismo, la tristezza. Uno spettacolo che non è neanche uno spettacolo, a cui le puntate settimanali di un reality qualsiasi danno piste e piste a livello di scrittura, organizzazione, ritmo, divertimento. Com’è possibile che non si sia capaci di mettere su una cosa che non sembri un baraccone dei poveri? No, perché alla luce delle puntate di reality succitate, è impossibile rispondere “Siamo in Italia”.

L’hanno proprio voluto fare così. Mostruoso. Forse anche la Canalis l’ha fatto apposta, a non consultare neanche wikipedia prima di intervistare De Niro, in modo da poter dare a vedere chiaramente di non sapere cosa cazzo fosse “Raging Bull”, da lei riportato come “Redinbul”. Gliel’hanno detto gli autori, “non devi parlare inglese bene sennò non si capisce”, dev’essere stato così. D’altra parte gli ascolti gli hanno dato ragione, ma gli ascolti servono solo a dire che un sacco di gente l’ha guardato, non che è stato bello. Quindi dite pure tutti che siete stati soddisfatti, che è andato tutto bene, ma  santiddio che roba tremenda.

E a scanso di equivoci lo ripeto: Sanremo 2011 è stata una cosa di una bruttezza rara. Peggiorata e amplificata dalle celebrazioni ex post, tutte le volte che ne ho beccata una mi sono sentita come quando Mugatu impazzisce di fronte a tutti e si mette a urlare MA NON LO VEDETE CHE ZOOLANDER FA SEMPRE LA STESSA ESPRESSIONE?

L’unico vero highlight della settimana, assieme a BASTARDO! di Lady Tata, è stato il ritorno sul palco di Valerio Pino. VALERIO PINO! L’uomo per cui ho avuto l’onore di scrivere una trashcronaca sul Daveblog. Mi emoziona ancora pensarci. (sì, mi chiamavo ancora Asha.)

Naturalmente non sarei mai sopravvissuta, ma soprattutto non avrei mai mantenuto un barlume di sanità mentale, senza il magnifico e incessante lavoro di liveblogging e commento di PopTopoi, kekkoz e TuttoFaMedia, loro sì che sono il servizio pubblico.

Spero che la bellezza di Sanremo 2011 non abbia niente a che vedere con la bellezza del 2011, se no sono fritta.

Share Button

quer piddieffe fichissimo

dopo mesi di pdf imbarazzanti, finalmente una cosa bella. è un esperimento letterario-fotografico, e hanno scritto e scattato tutte persone che conosco, alcune di loro sono proprio amichi amichi. è un gioiellino su Roma, e se pensate che quello che ci mancava era giusto l’ennesima autocelebrazione megalomane da caput mundi/mastahz of ze iuniverz, vi sbagliate. questa qui è una Roma diversa, vista e scritta con occhi e parole diverse. perché è vero, Roma è un pasticciaccio, ma è un pasticciaccio meraviglioso. come le nostre vite.

Quer Pasticciaccio bello

Share Button